>In tre anni ho interrogato Brusca circa ottanta volte. Sono sicuramente il magistrato che lo ha incontrato di più e penso di essere riuscito in
qualche modo a comprendere il ruolo che ha svolto in Cosa nostra, il suo modo di agire, di pensare, di relazionarsi.
>C'è una cosa, però, che certamente non ho mai capito di lui: quanto fosse consapevole del contrasto tra la forma e la sostanza del suo
comportamento, a volte macabramente ridicolo. Una volta, dopo aver passato diverse ore a parlare di omicidi, strangolamenti e di cadaveri sciolti nell'acido, mi chiese scusa perché aveva usato l'espressione «ci siamo fatti questa pulitina di piedi» per dire che avevano ammazzato un gruppo di persone. Frase che evidentemente gli era risuonata un po' volgare.
>Il massimo Giovanni Brusca l'ha toccato però in un'altra circostanza, quando mi ha raccontato dell'omicidio di un giovane di Altofonte. Aveva programmato il delitto e individuato chi tra i suoi uomini dovesse parteciparvi, ma, il giorno prefissato, uno di questi non si era presentato all'appuntamento perché coinvolto in un incidente stradale.
>Brusca aveva deciso di portare ugualmente a termine il progetto di morte, obbligando un altro dei suoi a svolgere un doppio ruolo: «Avevamo fretta, non potevamo più aspettare. Quello si doveva sposare una settimana
dopo».
>«E perché tutta questa fretta?» gli chiedo.
Non dimenticherò mai l'espressione stupita del suo viso. Perplesso perché non avevo capito immediatamente: «Ma dottore, non potevamo
certo lasciare una vedova!»
un bel libro